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Carta e matita erano vietate nel campo di concentramento fascista di El-Agheila, in Libia, nella Cirenaica sud-occidentale. I detenuti, donne, bambini, anziani e ragazzi, costretti a raggiungerlo percorrendo quattrocento chilometri a piedi nel calore estenuante del deserto. Fra loro c'era un poeta, Rajab Abuhweish, che dietro il filo spinato, nella rovina e nella violenza, esiliato in patria, trincerato dietro la sua voce, compose a memoria un poema di trenta strofe e lo trasmise oralmente agli altri prigionieri, rafforzandone lo spirito di resistenza. Un canto come ultimo rifugio, un canto per scampare alle sabbie, alla morte. Prefazione di Antonio Scurati.